“Prima conoscere, poi discutere e poi deliberare” è la più famosa delle “Prediche inutili” di Luigi
Einaudi.
In sintesi, per arrivare a proporre una legge non si può prescindere dall’analisi del contesto in cui si va ad inserire.
E nel caso di specie, per la legge sull’architettura, non è solo l’analisi derivante dal coacervo di
leggi che insistono sui temi della progettazione e della realizzazione di un’opera pubblica, che
già sarebbe uno sforzo ciclopico visto solo il cambiamento che il nuovo codice degli appalti
pubblici ha creato e ha apportato in termini di sviluppo di un’opera pubblica, ma si tratta anche
capire quale sia la percezione dell’architettura oggi nel paese.
Quale sia la sua percezione culturale.
Cultura e coltura derivano dalla stessa radice latina, “colere”, che indica un’attività che richiede
uno sforzo di previsione, la cura del processo e la produzione di un raccolto/contenuto.
La coscienza di questo percorso è stata la base sulla quale la Spagna ha avviato, subito dopo il
Covid-19, un’ampia consultazione popolare proprio su ciò che si intende oggi per città ed
ambiente e questo, come raccontato dall’architetto Iñaqui Carnicero Alonso-Colmenares
durante il festival dell’architettura di quattro anni fa, perché la Spagna non voleva spendere 1
euro, dei finanziamenti europei, “che non fosse per creare il paese del futuro attraverso il
processo architettonico”.
Non diverso è il processo attuativo che si dovrebbe mettere in marcia in Italia, qualora si voglia
arrivare veramente ad avere un fermento culturale che dia frutti, perché il ddl 112 del 2024 è la
terza proposta di legge in 25 anni. Ed è la terza proposta di legge, il terzo seme, che si pianta in
un terreno assolutamente impreparato ad accoglierlo e a dargli vita, perchè realizzare una
legge che porti a qualcosa che non sia una proposta organica è come piantare una pianta
senza aver prima preparato il terreno: una cosa inutile e costosa, senza futuro.
Per questo il Ministerio de Vivienda y de Agenda Urbana, come sopra si richiamava
attraverso persona dell’allora direttore, oggi segretario generale dello stesso ministero,
architetto Iñaqui Carnicero Alonso-Colmenares, ha deciso di aprire ad un’ampissima
consultazione, andando a sondare quale sia veramente la percezione e concezione spagnola di
cosa sia l’organismo città/ambiente. Il fine di questa attività è stato quello di capire quale fosse il
terreno su cui si andava a piantare la legge.
Tutte le consultazioni ed anche i documenti sono confluiti in una piattaforma di lavoro PECA
https://leyarquitectura.mivau.gob.es/peca
Questa piattaforma è stata il contenitore delle consultazioni realizzate dal Ministero spagnolo in
tutte le regioni di Spagna e con diversi attori delle città: si è potuto così avere una base certa e
circostanziata dalla quale muovere i passi della legiferazione.
Dopo un paio d’anni di gestazione, un gruppo interdisciplinare costituito da non solo tecnici, ma di fatto coordinati da architetti, ha finalmente delineato la legge per l’ambiente costruito, che è stata pertanto e
piantata su un terreno fertile di conoscenze.
Noi cosa conosciamo del sistema cultura Italia oggi? Niente. Ovvero sappiamo benissimo che
serve colmare la distanza che si è formata tra la cultura architettonica come concepita oggi, e
come insegnata oggi nelle università, e l’idea che la cittadinanza ha della città, ferma
all’Ottocento.
Per questo nelle scorse elezioni al Consiglio Nazionale degli Architetti, uno dei punti fondamentali della lista, che poi ha vinto, era il tema della comunicazione integrata volta proprio a cercare di modificare
la percezione che la popolazione aveva, ed ha tuttora, dell’architettura e che, come si diceva
sopra, oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, si identifica ancora con architetture
classiche o, ancora peggio, classicistiche.
Il programma sulla base del quale, vale la pena ricordarlo, gli ordini avevano votato la loro
maggioranza, è stato completamente disatteso.
Dunque questo è il primo problema di un disegno di legge, che è ancora molto lontano dal
sentimento della maggior parte della popolazione e che, per questo, meriterebbe un
approfondimento meno banale dell’azione di legiferazione.
Un ulteriore problema non affrontato, come dicevamo prima, è una riforma organica di tutte le
leggi che incidono sul processo gestazionale (processo culturale): dalla progettazione alla
costruzione dell’organismo città/ambiente.
Anche in questo caso la consapevolezza dei problemi esistenti oggi sul tema delle costruzioni, e
non voglio dargli la sola dignità di architettura perché si costruisce di tutto e spesso più
costruzioni che architettura, è veramente molto superficiale. Non si può pensare di sbandierare
il vessillo dell’architettura come semplice bandiera, quando intorno c’è un sistema che non porta
affatto all’architettura. Non possiamo pensare di parlare di architettura quando i nostri progetti,
dall’ideazione alla costruzione passano 100.000 vagli che fanno diventare le nostre architetture
spesso dei Frankenstein: i vagli dei mille enti che si devono esprimere sulle diverse esigenze, di
diverso tipo, di norme tecniche di attuazione di prg, di regione, di provincia, di parchi, di riserve,
di sovrintendenza, di soprintendenza, di vigili del fuoco, di asl, di enac, di bombe nel sottosuolo
di archeologia, di ecologia, di rumore di decibel, di bacini idrici, di inondazioni, di radon, di tutela
del paesaggio ecc., ecc., ecc., ma anche degli annosi problemi di personale all’interno delle
amministrazioni pubbliche che non rispondono perchè spesso non tutelati da un’assicurazione
che debbono pagarsi da soli, perchè sotto organico, perché le leggi poi non sono così chiare e
sono spesso interpretabili dai giudici, ma non solo dai giudici, ma anche da coloro che le leggi le
devono attuare (provveditorati, regioni e comuni) e che spesso quindi interpretano e si arriva ai
diversi gradi di giudizio. E si fa giurisprudenza.
In tutto questo l’architettura rimane una superflua e ridondante enunciazione di principio.
La terza, con questa proposta di legge.
Noi architetti, che nasciamo per governare la complessità e farne architettura, viviamo tutti i
giorni in questo “mare magnum” di complicazioni che ostacolano di fatto la sperimentazione, la
progettazione e la realizzazione dell’architettura.
Dunque questo è il tempo di lavorare sul terreno, non è tempo di piantare. E se anche per puro
caso la pianta per una forzatura reggesse, avrebbe vita breve.
È tempo, lo era già 4 anni fa, di un duro lavoro sistematico che porti a percepire la cultura
architettonica quale unico strumento per far progredire le città e per migliorare i nostri ambienti
costruiti. Abbiamo visto nel nostro passato come questi periodi di splendido fervore artistico
abbiano preso piede e abbiano prodotto arte.
Dobbiamo lavorare perché questa magica alchimia torni di nuovo a governare lo sviluppo delle nostre città e territori.
L’obiettivo è avere di nuovo un incubatore fervido di cultura che dia luogo, come successo in
passato, a confronti di idee, a realizzazioni artistiche che intrecciandosi con la critica evolvano
dando corso ad una nuova epoca intellettuale feconda di prodotti artistici.
Dobbiamo aspirare ad avere una spinta forte dal basso, tornando a lavorare sul nostro terreno,
attualmente arido e desertico: solo in questo modo riusciremo a vivere un nuovo periodo di
grande attività artistica. E sarà anche l’unico modo per attrarre i giovani talenti che sono attratti
proprio da questo tipo di ambienti prolifici. Non a caso Londra, New York, Barcellona, Berlino,
Valencia, Parigi, hanno avuto un grande incremento di giovani professionisti arrivati in queste
città per essere partecipi di un periodo di grande interesse artistico e produttivo.
Noi abbiamo avuto negli anni ‘60 del XX secolo un periodo simile e possiamo quindi tornare di nuovo sperare di ricreare le condizioni, ma dobbiamo essere consapevoli anche dei problemi, oggi sono
zavorre pesantissime, che non ci permettono di tornare a produrre creando non solo edifici, ma
opere che innovano, spostano le visuali, modificano la percezione comune, fanno riflettere, o
che semplicemente stupiscono per la loro bellezza e, non ultimo, modificano in meglio le nostre
città e i nostri ambienti facendosi sintesi artistica e, in ultima analisi, facendo quello che
dovrebbe far palpitare non solo il cuore di ogni architetto, ma di tutta la cittadinanza: costruire
Architettura.
Architettura quale attività che riesca anche a cogliere l’articolato del nostro dettato
costituzionale e che si faccia strumento di “miglioramento materiale e spirituale” del paese.
Su questo ci siamo impegnati a lavorare 4 anni fa, quando ci furono le elezioni al Consiglio
Nazionale degli Architetti, e questo vogliamo realizzare attraverso l’allineamento degli sforzi di
tutti quegli enti, pubblici e privati, che vorranno tentare di dare impulso a questo nuovo periodo
di produzione e fermento culturale.
La sfida è di grande caratura, ma non c’è altra strada: cultura e coltura necessitano della cura.
Christian Rocchi